Ai confini dei Reatini

Una lunga passeggiata fino al Monte di Cambio

La montagna ancora prima di essere un luogo geografico e un mucchio di roccia, terra e pietre, è un’idea, una filosofia, una emozione da condividere. Per tanto, forse troppo tempo, ci siamo impegnati a rincorrere il numero di vette raggiunte, progetti costruiti sull’idea di incrementare il curriculum, sulla smania di cimentarsi su imprese sempre più ardite e impegnative. Per tanto, forse troppo tempo la montagna era diventata palestra per prove di forza e cominciavamo a sentire l’esigenza di farla ritornare palestra di emozioni per l’anima. Indissolubile è la prova di forza e la sopportazione della fatica nell’idea di andare in montagna ma da un po’ di tempo era nato il bisogno di una essenza diversa e dal sapore antico nelle nostre escursioni. E sembrava impossibile riuscire a tornare all’essenza delle prime uscite. Il gusto di fermarsi a guardare la natura e i panorami, di osservare, di fotografare i fiori e gli scorci unici. Il gusto di entrare in sintonia con la montagna. Ci voleva il Monte di Cambio, tanto bistrattato e sottovalutato per ridare vita ad antichi equilibri. Dall’appuntamento sulla Salaria, vissuto come possono viverlo amici che da tempo non si incontrano e che hanno tempo e tante cose da raccontarsi, alla sosta in vetta dove ci siamo riappropriati del tempo e del gusto di sapere di stare in un luogo unico. La giornata è cominciata ancora prima che un’alba caliginosa rischiarasse il cielo. Alle 5,30 Giorgio, Giorgio Minella, Luca e chi scrive ci siamo incontrati al solito bar sulla Salaria, luogo di incontro delle uscite verso nord. Lasciate le auto per riunirci in una sola il viaggio di avvicinamento è volato tra lo scrutare il cielo nella speranza di trovare conferme meteo e i racconti di amici sugli ultimi fazzoletti di vita non condivisi. Alle 7,20 dopo aver individuato il punto di attacco del sentiero 404 poco al di sotto della sella del Terminillo a quota 1872 mt, lato Leonessa, ci incamminiamo veloci per un’ampia carrareccia. Un breve tratto nel bosco lascia ben presto il posto a panorami grandiosi sulle rocce calcaree dei canaloni brecciosi del Terminillo. Anche la vegetazione offre il suo contributo con una esplosione e un tripudio di colori della fioritura estiva e per me e Giorgio è un invito a rallentare l’andatura e vivere gli scorci di natura immensa e a cercare di immortalare le emozioni nei nostri supporti digitali. E già da questi primi momenti ho avuto la sensazione che quella odierna sarebbe stata una giornata di montagna dal sapore antico. Lungo la carrareccia scogli di rocce isolati che uscivano come denti famelici dai manti erbosi dei lati della montagna sfidavano le profondità della valle. Era un motivo di continue deviazioni; affacci vertiginosi sulla valle sottostante facevano salire il cuore in gola ma avevano il grande pregio di fermare il tempo. La marcia verso la vetta, rallentata da continue deviazioni trovava senso nel tempo che si fermava; permetteva di impossessarsi del territorio, di catturare la magia degli angoli remoti dei Reatini. Dava il ritmo alle emozioni. E queste si autoalimentavano ogni volta che una roccia, un fiore, disegnava un quadro sullo sfondo del Terminillo. La salita in cresta per raggiungere il Monte Porcini era d’obbligo, facile e permetteva di dominare i versanti delle due valli incuneate ai lati del monte e di aprire gli orizzonti verso la meta finale. Una sosta ai 1982 mt di Monte Porcini, davanti ad una delle più belle croci di montagna di questo territorio e subito una discesa con perdita di dislivello notevole fino alla sottostante sella. Il Monte di Cambio era davanti a noi, con i suoi morbidi dossi erbosi e con le sue guglie rocciose che ci hanno attratto irresistibilmente. Luca attaccava di prepotenza il dosso fino alla più alta cresta erbosa e si portava sopra quella spettacolare formazione rocciosa che si affacciava nel vuoto della valle e si accingeva a passare quella cha a sua detta sarebbe stata “la mezz’ora di vita più serena di sempre”. Con i due Giorgio invece, prima di raggiungere Luca, deviamo verso due speroni rocciosi a mezza costa che annunciavano esposizioni mozzafiato. Angoli di natura privilegiati, profondità abissali sotto di noi, solo i fiori sfidavano la verticalità di quella roccia. Li abbiamo vissuti, fotografati, saliti e scesi con un entusiasmo da bambini. Ci stavamo impossessando del monte. Decisamente stavamo ritrovando lo spirito “Aria Sottile”. Appagati da tanta emozionante bellezza prendiamo a salire la ripida pagina del monte per raggiungere Luca che era sopra di noi con una verticalità da capogiro, appollaiato nel vuoto solo come solo le aquile sanno fare e col suo profilo che era un tutt’uno con quello della roccia. Lo abbiamo raggiunto col cuore in gola dopo una ripida salita tra gradoni erbosi e rocce affioranti. Anche Luca aveva scelto un punto di osservazione clamoroso. La valle sotto, profonda e stretta saliva con fitti boschi fino al circolo montuoso che dal Monte Ritornello, per l’Elefante e il Valloni accompagnava l’occhio fino ad abbracciare in un’unica soluzione la dolomitica cresta del Terminillo e della Vetta Sassetelli. Ma chi l’avrebbe mai detto che questo modesto gruppo montuoso poteva regalare angoli quasi dolomitici di incomparabile bellezza come quello che ci si parava davanti? La giornata poteva concludersi su questo sperone tanto era perfetto il luogo ma i 2081 mt del Monte di Cambiaci aspettavano. In mezzo solo dolci e agili pendenze erbose da passeggiata della domenica. Solo l’ultimo attacco alla montagna, una agile e rotonda cresta ma lunga e senza interruzioni di pendenza ci faceva tornare il cuore in gola per l’affanno. Ma la croce di vetta, ben visibile fin dalla sella sottostante ci dava la forza di superare di slancio anche questa ultima fatica. Luca, il solito “animale” da salita non gradiva i tagli di pendenza. Li trovava inutili e dispersivi; tracciava mentalmente una linea retta fino alla croce e abbandonava la tonda cresta per salire diritto il versante più ripido del monte. Una forza della natura. Alle 9,40 siamo tutti in cima. Ci abbandoniamo alla pace della vetta. Il cielo è percorso da innocue e veloci nubi. Il vento è quasi assente. L’atmosfera è di quelle antiche, serena, amichevole, quasi intima dove la fretta non esisteva, dove l’unica cosa che contava era vivere il momento. Ci lasciamo andare alle solite foto di rito, mangiamo, beviamo col Cesanese del Piglio che Giorgio come sempre ha portato per completare il pranzo nella maniera migliore e brindiamo con uno spumantino ai 37 anni dell’altro Giorgio. L’aria sottile delle prime escursioni era tornata decisamente tra noi. Poi silenzio. Ognuno con i propri pensieri, con le proprie emozioni. Il luogo suggeriva contemplazione e riposo; una vastità rassicurante che fermava il tempo. L’occhio non trovava pace nel cercare di impadronirsi di quell’angolo di mondo; le macchine fotografiche cercavano di impossessarsene ma sapevamo bene che potevano solo essere un supporto ai ricordi futuri. Il momento, nelle coscienza di tutti, era inevitabilmente unico. Qualcuno, forse tutti, hanno assaggiato anche il gusto del sonno in cima al mondo. Se il paradiso è in cielo, quella vetta, in quel momento, era sicuramente una delle sue porte d’ingresso. Alle 11, dopo più di un’ora di assoluta serenità, decidiamo di tornare alla realtà. La discesa è per lo stesso percorso di andata. Ci risparmiamo solo una nuova salita al Monte Porcini; in cambio abbiamo avuto solo una monotona e deturpante (ma sicuramente utile per l’economia del territorio) carrareccia brecciosa. Le nuvole che si stavano accumulando in vetta nemmeno troppo lentamente ci mettono le ali ai piedi e alle 12,30, in solo un’ora e mezza di camminata raggiungiamo la fine del sentiero. Sotto la mole del Terminillo ce la prendiamo comoda e ci riprendiamo della volata. Una sosta al rifugio Sebastiani e un’ultima descrizione degli altri percorsi del gruppo dei Reatini per dare a Luca la padronanza della zona. La prossima settimana ha già manifestato l’intenzione di salire l’Elefante e il Valloni col padre. Il suo è sicuramente un innamoramento folle per la montagna, di quelli che ho già avuto modo di vivere. Che dire di questa giornata? Le ultime uscite precedenti a questa ci hanno dato conferma di grandi doti di tenuta atletica. Quella di questa giornata ci ha confermato che ciò che avevamo temuto di aver perso era invece ancora nostro. Eravamo ancora capaci di ascoltare la voce della montagna. Eravamo ancora capaci di mettere in sintonia le nostre anime con la montagna. Lo spirito “Aria Sottile” non si era sopito ed era ancora forte dentro di noi.